Lontano dall’immagine di ogni ‘Fortezza Europa’ assediata, il regime di Schengen, che include la forza armata Frontex, ha significato per la quasi totalità degli abitanti del pianeta l’impossibilità di raggiungere l’Europa in modo regolare. Persino la possibilità di ‘soccorrere regolarmente’ i naufraghi è impedita dal reato di immigrazione clandestina. Era logico aspettarsi che ciò avrebbe reso più pericoloso ogni tentativo di raggiungere l’UE. Logico anche aspettarsi che nel mondo globalizzato lo scoppiare di rivoluzioni e conflitti avrebbe aumentato la voglia di libertà e prodotto movimenti maggiori: i migranti hanno il diritto di esercitare quella libertà di movimento che si sono conquistati, come successo dopo la rivoluzione tunisina, e di votare con i piedi contro guerre che non li riguardano, come successo in Libia e ora in Siria.
Contro ogni pretesa di regolare questa libertà, quello che né l’Europa né l’Italia capiscono è che i movimenti dei migranti non dipendono da loro. Da loro dipendono tuttalpiù le condizioni nelle quali i migranti si muovono. Per questo, i paesi europei e le politiche sull’immigrazione condividono la colpa di quanto regolarmente accade. È bene che nessuno si presti più al gioco che vedrebbe nell’Europa un argine alla barbarie nostrana. Al contrario, i movimenti dei migranti mostrano che non può esserci una lotta che non sia su scala pienamente transnazionale. Di soluzioni forse non ce ne sono, come sostiene il ministro degli Esteri Bonino. Certamente, però, abolire Frontex e sancire la possibilità di raggiungere liberamente lo spazio Schengen renderebbero il servizio offerto dai cosiddetti scafisti meno esclusivo. In assenza di tale volontà politica, ci siano risparmiate espressioni di rammarico.
Se nell’individuare i colpevoli siamo certi di trovare ampio accordo, l’ennesima strage ci spinge a ricordare non solo le vittime, ma tutti quei migranti che quotidianamente lottano e da anni si organizzano contro le leggi che governano i confini dello sfruttamento. Il cordoglio e la rabbia che si alzano contro questa ennesima strage impongono, ora più che mai, di riconoscere che sulla pelle dei migranti si gioca molto di più di quanto è reso visibile dalle stragi del mare e dalla sistematiche e speculari vittimizzazione e criminalizzazione politica e mediatica. Si giocano il tentativo di regolare e governare, su scala transnazionale, una nuova geopolitca e i movimenti della forza lavoro. Si gioca uno scontro politico globale e di classe. Dentro questo scontro i migranti sono parte attiva. E gli altri?
Se si vuole continuare a scandalizzarsi ogni volta di nuovo, allora va bene continuare così. Altrimenti, bisognerebbe almeno smetterla di ostinarsi a considerare i migranti solo quando muoiono in mare o come portatori di istanze parziali, e accettare finalmente la sfida politica generale che essi pongono.
Coordinamento Migranti
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